domenica 17 ottobre 2010

La sentenza della Corte Costituzionale apre nuove prospettive di tutela

Di Marco Gattuso (Giudice presso il Tribunale di Reggio Emilia, intervento pubblicato su "Politeia, rivista di etica e scelte pubbliche")

La sentenza della Corte Costituzionale, pur tra luci ed ombre, rappresenta una svolta storica sotto vari profili. Con la proposizione dell'eccezione di incostituzionalità si è prodotto, innanzitutto, un vero e proprio ribaltamento del dibattito in corso: non si discute più se la Costituzione italiana vieti il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali, ma se ed in che termini la Costituzione imponga tali diritti. In secondo luogo, dalla lettura della decisione si evince l'affermazione della rilevanza costituzionale delle unioni omosessuali, che già di per sé configura un passaggio cruciale per il nostro ordinamento [1]. Da oggi non avrà più senso discutere del significato dell'espressione "orientamento sessuale", come inopinatamente fatto dal nostro Parlamento solo pochi mesi orsono [2], né sarà più possibile mettere in dubbio la necessità di legiferare in materia, poiché, come evidenziato dalla Consulta, il diritto al riconoscimento delle unioni omosessuali è sancito dall'art. 2 della nostra Costituzione [3]. Inoltre, la Corte afferma che tale riconoscimento giuridico "necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia" e, dunque, dopo la sentenza non saranno più sufficienti riforme dirette alla tutela di limitati diritti dei singoli membri della coppia senza riconoscimento giuridico dell'unione omosessuale [4].

L'affermazione della natura costituzionale del diritto al libero sviluppo della persona anche nell'ambito della coppia omosessuale, inoltre, non potrà non avere un impatto nell'evoluzione della nostra giurisprudenza, ad esempio in materia di espulsione verso quei Paesi che perseguitano gli omosessuali impedendo di manifestare apertamente l'affettività tra due persone dello stesso sesso [5]. La rilevanza costituzionale della coppia omosessuale apre, inoltre, anche prima d'ogni intervento del Legislatore, nuove prospettive alla cd. via giudiziaria per i diritti delle coppie gay, ove si tenga conto d'un ulteriore passaggio: in attesa che il Parlamento adotti una disciplina organica, la Corte Costituzionale si impegna ad assicurare da subito il proprio controllo ogni qualvolta "in specifiche situazioni sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale". Poiché, come noto, un giudice può promuovere una questione di illegittimità costituzionale soltanto nel caso in cui la questione non possa essere risolta già attraverso un'interpretazione adeguatrice della norma, il giudice, innanzi ad una coppia che chieda tutela e che a suo avviso necessiti d'un trattamento omogeneo a quello d'una coppia coniugata, dovrà applicare direttamente la normativa prevista per la coppia sposata, attraverso una interpretazione analogica, evolutiva, costituzionalmente orientata della norma, e solo se tale interpretazione non sia possibile dovrà ricorrere alla Corte Costituzionale perché verifichi se la disparità di trattamento sia legittima. Bisognerà verificare, innanzitutto, se la coppia omosessuale esiste e se ha carattere di stabilità analogo ad una coppia sposata. Da questo punto di vista assumono rinnovata importanza le iscrizioni all'anagrafe delle coppie omosessuali come famiglia anagrafica e l'iscrizione nei registri delle coppie di fatto che sono stati già istituiti in molti comuni italiani. Verificato che una coppia omosessuale è convivente e stabile, il giudice non potrà negare la necessità di trattamento omogeneo tra unione omosessuale e coppia sposata sul mero rilievo che la prima non è sposata, in quanto la Corte ha affermato espressamente la necessità di verificare tale omogeneità proprio tra unione gay e coppia coniugata. Escludere dunque tale comparazione sulla base della mera mancanza del matrimonio sarebbe come negare in radice la valutazione richiesta dalla Corte Costituzionale. Sarà dunque d'estremo interesse verificare come si svilupperà la giurisprudenza italiana nel prossimo periodo e che criteri elaborerà al fine d'accertare tale "necessità di trattamento omogeneo", tanto nei casi, sempre più numerosi, di coppie omosessuali che hanno figli, che in tutte quelle situazioni in cui la presenza o meno di figli non assuma specifica rilevanza [6].

A ciò deve aggiungersi che nel prossimo periodo il percorso verso l'uguaglianza tra coppie omosessuali e coppie eterosessuali sposate sarà presidiato non solo dalla nostra Corte Costituzionale ma anche dai giudici di Lussemburgo e di Strasburgo. Il quadro europeo, infatti, è decisamente mutato negli ultimi anni, sino alla recentissima sentenza con la quale la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, affrontando anch'essa per la prima volta la questione dei matrimoni gay [7], ha riconosciuto finalmente che le coppie omosessuali sono famiglia, con un'affermazione che in Italia appare persino clamorosa [8]. La cosa non deve sorprendere, poiché in Europa la questione dei diritti delle unioni omosessuali è considerata come un tipico tema di diritti civili e di libertà di tipo tradizionale, tant'è che sul loro riconoscimento pubblico si registra ormai il consenso delle maggiori forze politiche, tanto di destra che di sinistra [9], e che la questione non è stata affrontata con legge organica soltanto in Grecia e in Turchia, oltre che in alcuni Paesi ex comunisti [10], ancora indietro nel percorso di adeguamento agli standard democratici di stampo occidentale.

Alla domanda se l'interpretazione della Costituzione italiana debba spingersi sino al punto di imporre anche l'apertura dell'istituto del matrimonio ai gay, la Corte ha risposto – per il momento – di no. Questa risposta non è una sorpresa, probabilmente era ampiamente nel conto anche per coloro che hanno proposto l'iniziativa giudiziaria.

Nel dire di no, la Corte sostiene che le diverse modalità di tutela delle unioni omosessuali sono rimesse a scelte discrezionali del Parlamento [11]. In Europa si rinvengono in effetti discipline differenti che possono ricondursi a quattro diverse opzioni [12]: 1) matrimonio tra coppie di opposto o dello stesso genere (sette Paesi [13]); 2) unioni omosessuali registrate cui si applica la disciplina del matrimonio (attualmente due Paesi [14]); 3) unioni omosessuali registrate con una normativa ad hoc (sette Paesi [15]); 4) registrazione delle coppie sia etero che gay con diritti garantiti da una normativa specifica (quattro Paesi [16]). La Corte ci ha detto che il Parlamento può scegliere tra le diverse opzioni, mentre dopo la sentenza si dovrà ritenere illegittimo non riconoscere nulla, e, come detto, non ci si potrà limitare a garantire diritti ai singoli membri della coppia senza un riconoscimento giuridico dell'unione.

La Corte ha comunque evitato ogni riferimento alla nozione di diritto naturale, come era stato invece chiesto da più parti e, anzi, ha colto l'occasione per dire che la nozione di famiglia recepita e protetta dalla Costituzione, lungi dall'essere scolpita una volta per tutte, è in continua evoluzione. La Corte, inoltre, ha evitato di evocare differenze ontologiche tra coppie omo ed eterosessuali, limitandosi ad affermare che "le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio" mettendo dunque in relazione una realtà sociale (le coppie omosessuali) con un istituto giuridico (il matrimonio) e non con le unioni eterosessuali, così da rimarcare esclusivamente il mancato accesso all'istituto del matrimonio. Non si può ritenere, in particolare, che la Corte abbia inteso indicare una differenza ontologica tra coppie omosessuali ed eterosessuali ove fa un fugace riferimento alla "finalità procreativa" del matrimonio atteso che tale argomento pare richiamato dalla Corte soltanto al fine di ricostruire l'intenzione originaria del Costituente [17]. La Corte non ha richiamato la necessità di difendere la famiglia tradizionale né ha sostenuto che l'apertura del matrimonio ai gay minaccerebbe le famiglie eterosessuali, evitando dunque ogni richiamo ai tanti argomenti utilizzati nella polemica contro i diritti degli omosessuali. La Corte si è limitata a dire che la nozione di matrimonio come unione tra un uomo ed una donna e non tra persone dello stesso sesso era data per presupposta nel 1948, quando fu scritta la Costituzione, e non può essere cambiata per via ermeneutica. Si tratta di un'argomentazione che colpisce per la sua debolezza e non può dubitarsi che farà molto discutere. Chi scrive ritiene che ad un approfondimento la stessa risulti francamente errata e che col tempo sarà superata [18]. Da questo punto di vista, la sentenza – che, vale la pena ricordarlo, è la prima sull'argomento – segna solo l'inizio d'un percorso.

Secondo alcuni, la Corte avrebbe inteso affermare che neppure il Legislatore potrebbe cambiare il codice civile aprendo il matrimonio ai gay [19]. È in corso un dibattito sul punto. Per un orientamento, la Corte si sarebbe accodata all'opinione che vede nella parola "matrimonio" un concetto immodificabile, neppure per volontà popolare. Il Parlamento, dunque, non potrebbe ridefinire l'istituto giuridico del matrimonio civile e la competenza del Legislatore dovrebbe escludersi anche per il futuro, nonostante l'evoluzione del costume e della nozione sociale di famiglia, i mutamenti nelle conoscenze scientifiche [20], la stessa evoluzione della nozione di famiglia nella lingua [21] e nel linguaggio giuridico anche nel contesto internazionale [22], i cambiamenti già avvenuti nel diritto degli altri Paesi a noi affini [23] e nello stesso diritto europeo [24]. Questa posizione sembra fondata su un solo argomento: si dovrebbe ritenere che la materia è sottratta al Legislatore perché la Corte rileva che la questione, rispetto agli artt. 3 e 29, è infondata [25]. Tuttavia, la Corte in altro passaggio dichiara che rispetto all'art. 2 ed all'art. 117 la questione è inammissibile - che nel linguaggio utilizzato dalla Corte significa che la materia è di competenza del Parlamento - e dice espressamente che la materia è riservata al Legislatore (in quanto la questione se l'art. 2 imponga il "diritto di sposarsi" anche per i gay appare "diretta ad ottenere una pronuncia additiva non costituzionalmente obbligata"). Non v'è dubbio che la Corte sia stata ambigua. In un passaggio reputa la questione inammissibile ed in un altro infondata. Sussistono nondimeno molti più elementi per sostenere che la Corte lasci libertà al Parlamento [26]. In tutta la motivazione, la Corte non introduce infatti alcun elemento espressamente diretto a condizionare la discrezionalità del Legislatore, né sarebbe conforme alla sua pregressa giurisprudenza in materia familiare coartare, in un senso o nell'altro, la volontà parlamentare – a maggior ragione in forza di una lettura meramente "originalista" della Costituzione. Dalla lettura della sentenza non emerge alcun argomento per sostenere che l'apertura del matrimonio violi diritti od interessi di terzi e della famiglia eterosessuale e che dunque si contrapponga alla ratio di garanzia dell'art. 29. L'ancoraggio proposto dalla Corte all'intenzione soggettiva dei costituenti pare strettamente connesso alla necessità di prevenire interpretazioni "creative", d'evitare cioè fughe in avanti giurisprudenziali, di salvaguardare il principio di tripartizione dei poteri, come potrebbe già desumersi dall'indicazione per cui "questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica". Alla Corte, peraltro, è stato chiesto se l'art. 29 imponga il riconoscimento del matrimonio tra omosessuali, mentre non è stato chiesto se l'art. 29 possa consentire tale apertura. Sarebbe allora certamente paradossale che al disconoscimento della Corte di interpretazioni "creative" del giudice consegua una limitazione per lo stesso potere legislativo, imposta... proprio per via giudiziaria! Si deve sottolineare, inoltre, come la lettura della nostra Costituzione nel senso di un divieto del Legislatore sarebbe del tutto peculiare nel panorama europeo ove "nessun parlamento nazionale al fine di ampliare il contenuto di tale istituto, ha ritenuto di dovere modificare la costituzione" [27]. Bisognerà considerare, ancora, che la Corte Costituzionale non ha fondato la sua decisione sull'espressione "società naturale", che non tiene in alcun conto, ma sul solo termine "matrimonio" che nella nostra Carta non contiene alcun riferimento all'uomo ed alla donna, a differenza della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (che recita "a partire dall'età minima per contrarre matrimonio, l'uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi", cfr. art. 12) la cui formulazione non ha tuttavia impedito alla Corte di Strasburgo di ritenere di recente che tale norma indichi i soggetti titolari del diritto a contrarre matrimonio (il diritto, cioè, deve essere riconosciuto a ogni uomo e a ogni donna), senza limitare necessariamente la facoltà di scegliere liberamente il partner [28]. Va detto, infine, che i giudici della Corte di Strasburgo nella loro motivazione evidenziano di non potere imporre ai Paesi aderenti l'apertura del matrimonio alle coppie dello stesso sesso poiché sul punto manca allo stato una "base comune nelle legislazioni dei Paesi aderenti" così che si deve intendere che tale evenienza non potrebbe escludersi per il futuro. Ne consegue che un'interpretazione forzata della nostra Costituzione, probabilmente contro l'intenzione degli stessi interpreti che oggi la propugnano, la esporrebbe in futuro ad un, azzardato quanto immotivato, conflitto con gli stessi Bill of rights europei.

Note

[1] Si deve riconoscere che si tratta di un evidente successo dei promotori, in particolare della campagna di promozione civile ideata dall'avvocato e ricercatore di diritto privato nell'Università degli studi di Udine, Francesco Bilotta, e portata avanti dal medesimo con grande determinazione insieme all'associazione di avvocati Rete Lenford e all'associazione radicale Certi Diritti. Per un quadro generale del dibattito giuridico antecedente la sentenza in commento cfr. i fondamentali: Amore civile, dal diritto della tradizione al diritto della ragione, a cura di B. De Filippis e F. Bilotta, Milano Udine 2010 ; Le unioni tra persone dello stesso sesso - Profili di diritto civile, comunitario e comparato a cura di F. Bilotta Milano-Udine, 2008; M. Bonini Baraldi, Le nuove convivenze tra disciplina straniera e diritto interno, Milano 2005; M. Bonini Baraldi, La famiglia de-genere Matrimonio omosessualità e costituzione, Milano-Udine 2010; La "società naturale" ed i suoi "nemici". Sul paradigma eterosessuale del matrimonio, Torino 2010, Atti del convegno svoltosi a Ferrara proprio nell'imminenza della decisione, ove si rinvengono numerosissimi interventi di grande interesse; M. Montalti Orientamento sessuale e costituzione decostruita. Storia comparata di un diritto fondamentale, Bologna 2007; P. M. Callaro Il same-sex marriage negli Stati Uniti d'America, Padova 2006.

[2] Cfr. la questione di pregiudizialità costituzionale votata dalla Camera il 13 ottobre 2009 avverso la normativa contro l'omofobia ove si sostiene che l'orientamento sessuale "ricomprende qualunque orientamento, ivi compreso incesto, pedofilia, zoofilia, sadismo, necrofilia, masochismo eccetera", incredibilmente ignorando la nozione giuridica di orientamento sessuale già recepita dall'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali ed universalmente intesa come orientamento verso persone dell'opposto o del proprio genere.

[3] La Corte Costituzionale afferma che in forza della nostra Costituzione a tale comunità "spetta riconoscimento giuridico" e dunque individua una lacuna nella nostra legislazione chiamando il Parlamento a colmarla, seppure "nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge". Il riferimento ai "tempi" non consente di ritenere che anche l'an della tutela sia nella sua disponibilità, così come la discrezionalità è definita "piena" solo al fine di specificare il quomodo ("le forme di garanzia e di riconoscimento").

[4] In questo senso si muovevano, invece, i vari progetti di legge succedutisi negli ultimi anni (cd. DICO, DIDORE, CUS ecc...).

[5] La S.C. aveva ritenuto che non vi sarebbe pericolo di trattamento persecutorio – e dunque si potrebbe procedere all'espulsione non sussistendo il divieto di cui all'art. 19 della Bossi-Fini ("In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali") - se nella legislazione di quel Paese venga previsto come reato non "il fatto in sé" dell'omosessualità ma soltanto "l'ostentazione di tali pratiche in modo non conforme al sentimento pubblico del Paese stesso" (Corte di Cassazione Sez. 1, Sentenza n. 16417 del 25/07/2007). Come dire che in Italia lo straniero è protetto solo se nel suo Paese d'origine è vietato appartenere ad una minoranza etnica o essere ebreo o avere determinate opinioni politiche, ma non se nel suo Paese è perseguito penalmente praticare apertamente la religione ebraica o manifestare ("ostentare"?) il proprio pensiero... La rilevanza costituzionale della relazione di coppia omosessuale, d'un fenomeno dunque che necessariamente non rileva nella sola sfera interiore della persona ma ha rilevanza esterna, comporta senza dubbio garanzia di tutela, costituzionalmente imposta, anche per le manifestazioni esteriori dell'affettività omosessuale.

[6] Subentro nella locazione, gestione della crisi della coppia, ruolo del convivente nell'assistenza sanitaria e nelle decisioni post mortem, risarcimento dei danni in caso di morte... ma l'elenco è infinito e l'indagine potrà interessare tutti gli istituti ad oggi riservati alle coppie sposate.

[7] Schalk and Kopf v. Austria, 24 Giugno 2010. La CEDU ha dichiarato che il codice civile austriaco, nella parte in cui non prevede il matrimonio tra persone dello stesso sesso, non viola la Convenzione agli artt. 8, 12 e 14 in quanto la materia è di competenza dei Parlamenti nazionali.

[8] Basti pensare che solo pochi anni fa, nel 2007, il governo italiano (di centro sinistra!) negò alle organizzazioni omosessuali di partecipare alla Conferenza nazionale sulla famiglia sostenendo che le relazioni gay non sono famiglia.

[9] Dall'esame delle posizioni ufficiali dei partiti politici degli altri quattro maggiori Paesi europei (Francia, Germania, Regno Unito e Spagna), si rileva che tutte le forze politiche parlamentari tanto di destra che di sinistra, ad eccezione del solo Front National francese, sono favorevoli al riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali oggi sollecitato dalla nostra Corte.

[10] Ma non tutti: hanno una legge, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovenia e Croazia.

[11] La Corte ha ritenuto la questione "inammissibile" in quanto "diretta ad ottenere una pronuncia additiva non costituzionalmente obbligata". L'eventuale apertura del matrimonio implica difatti scelte rimesse alla discrezionalità del legislatore, non soltanto perché le unioni omosessuali potrebbero essere tutelate con altri istituti affini al matrimonio, ma anche perché, pure nell'ipotesi di apertura del matrimonio, ben potrebbe essere esclusa l'operatività di alcune norme, come già accaduto in altri ordinamenti ad esempio in materia di filiazione, presunzione di paternità, adozione.

[12] Molti Paesi prevedono più istituti, contemplando normative sulle partnership registrate insieme al matrimonio ed alla tutela delle convivenze di fatto. Una dettagliatissima ricognizione in M. Bonini Baraldi, Le nuove convivenze cit..

[13] Spagna, Portogallo, Belgio, Olanda, Islanda, Norvegia e Svezia. In Lussemburgo, Andorra, Finlandia e Slovenia la legge è stata annunciata dal governo o è in corso d'approvazione in Parlamento.

[14] Danimarca e Finlandia, le cui normative prevedono soltanto alcune eccezioni in materia di adozioni e potestà genitoriale. Gli altri Paesi che aderivano a tale opzione sono passati negli ultimi anni al matrimonio.

[15] Regno Unito, Germania, Svizzera, Slovenia, Rep. Ceca, Austria, Ungheria.

[16] Francia, Lussemburgo, Andorra, Irlanda. In Croazia sono riconosciuti diritti alle coppie di fatto omosessuali.

[17] Conviene che con l'accenno alla "finalità procreativa" la Corte abbia inteso "semplicemente ricostruire, ancora, la volontà del costituenti", Dal Canto La Corte costituzionale e il matrimonio omosessuale, in Foro it. 2010, I, 1373. Si deve considerare, in effetti, come la connessione tra matrimonio e procreazione, che pure è stata al centro del dibattito dottrinale e delle stesse argomentazioni dei giudici a quibus, non sia stata sviluppata in alcun modo dalla Corte e apparirebbe argomento assai fragile se fosse riferito alla realtà sociale contemporanea ed all'attuale quadro normativo.

[18] Sul punto mi si consenta di rimandare a M. Gattuso, La Corte costituzionale sul matrimonio tra persone dello stesso sesso in Famiglia e diritto, 2010, 656. Sulle ragioni che dovrebbero indurre a ritenere costituzionalmente illegittimo il divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso, cfr. anche Costituzione e matrimoni fra omosessuali, in Il Mulino 2007, 452; Appunti su famiglia naturale e principio di uguaglianza (A proposito della questione omosessuale) in Questione Giustizia 2007, 261 (consultabile anche in www.personaedanno.it) e Il dialogo tra le corti in La società naturale ed i suoi nemici, Torino 2010, p. 159 (consultabile anche in www.forumcostituzionale.it).

[19] Si avrebbe anche in Italia un esito analogo a quei quindici Paesi ove le Costituzioni definiscono il matrimonio come unione tra uomo e donna impedendo ai Parlamenti nazionali una ridefinizione del matrimonio con legge ordinaria (Congo, Kenya, Ruanda, Uganda, Honduras, Bielorussia, Ecuador, Lettonia, Lituania, Polonia, Bielorussia, Moldavia, Montenegro, Serbia e Ucraina; fonte: Wikipedia, LGBT rights by country or territor).

[20] L'omosessualità è stata cancellata dal DSM (Diagnostic and statistical manual of mental disorders) ed è stata definita una "variante del comportamento umano" nel 1973.

[21] Tanto il Webster's che l'Oxford English Dictionary richiamano l'unione tra due persone dello stesso sesso sotto la voce "matrimonio".

[22] Si è già detto del diffondersi del consenso anche tra le maggiori forze politiche continentali. La nozione gender-neutral di matrimonio è sostenuta da più sentenze delle Corti supreme di diversi Stati americani (Massachusetts, California, Connecticut, Iowa) oltre che dalle corti costituzionali del Sudafrica, Canada, Belgio e Portogallo. Di recente i giudici americani (Corte distrettuale del Massachusetts, 8 luglio 2010, che dichiara l'illegittimità del Defense of Marriage Act e Corte distrettuale del Nord California Perry v. Schwarzenegger del 4 agosto 2010 che dichiara l'illegittimità della Proposition 8) sono arrivati ad aprire un vero e proprio conflitto, dagli esiti assai incerti, con il potere legislativo (persino quando esercitato mediante referendum popolare!) che aveva definito espressamente il matrimonio quale unione tra uomo e donna.

[23] Il matrimonio è stato ridefinito in senso inclusivo in Argentina, Belgio, Canada, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Sudafrica, Spagna, Svezia ed inoltre in Connecticut, Iowa, Massachusetts, New Hampshire, Vermont, Washington (District of Columbia) e Città del Messico.

[24] Con l'art. 9 della Carta dei diritti fondamentali il legislatore europeo ha compiuto una scelta storica avendo utilizzato i termini "sposarsi" e "famiglia" senza alcuna specificazione proprio al fine di non escludere il matrimonio per le coppie omosessuali. Anche la Corte europea di Strasburgo, per canto suo, ha modificato la propria interpretazione della nozione di matrimonio annunciando che "la Corte non considererà più che il diritto di sposarsi sancito dall'art. 12 debba essere limitato in ogni circostanza al matrimonio tra persone di sesso opposto" (Schalk and Kopf v. Austria, cit.).

[25] Dal Canto La Corte costituzionale e il matrimonio omosessuale, in Foro it. 2010, I, 1373. L. D'Angelo, La Consulta al Legislatore: questo matrimonio nun s'ha da fare, Altalex, 19 aprile 2010; G. M. Salerno, Il vincolo matrimoniale non è suscettibile di interpretazioni creative, in Guida al diritto, Famiglia e minori, maggio 2010, 46; S. Spinelli, Il matrimonio non è un'opinione Forum di Quaderni Costituzionali, 2010, www.forumcostituzionale.it; P. A. Capotosti Matrimonio tra persone dello stesso sesso: infondatezza versus inammissibilità nella sentenza n. 138 del 2010 in Quaderni costituzionali 2010, 361.

[26] L'approdo d'una Costituzione che non vieta e non impone appare conforme all'orientamento che, in un'ottica comunque storicistica, ravvisa nell'art. 29 una norma in bianco che rimanda alla definizione normativa di matrimonio, qual è indicata, attualmente, nel codice civile, su cui cfr. Pignatelli, Dubbi di legittimità costituzionale sul matrimonio, 3, Forum di Quaderni Costituzionali, 2010, in www.forumcostituzionale.it 14; v. anche A. Schuster Riflessioni comparatistiche sull'art. 29 della Costituzione italiana in Le unioni tra persone dello stesso sesso cit., 185.

[27] L'osservazione è di N. Pignatelli, Nozione di matrimonio e disciplina delle coppie omosessuali in Europa, in Foro it., 2005, V, 260 ss.

[28] Schalk and Kopf v. Austria, cit. . Anche la formulazione dell'art. 32 della Costituzione spagnola, che contiene un riferimento diretto all'uomo ed alla donna (art. 32: "el hombre y la mujer tienen derecho a contraer matrimonio con plena igualdad jurídica"), non ha impedito al Legislatore un'interpretazione evolutiva.