martedì 1 marzo 2011

precisazioni sull'assemblea del 5 marzo 2011

Confermo a tutti e tutte che l’assemblea del Comitato nazionale “Sì, lo voglio!” è convocata per il giorno:



5 marzo 2011, dalle ore 10,30 alle 13,30
presso il CIG di Milano, Via Bezzecca 3



L’assemblea non prevede la sessione pubblica con invitati e giuristi, come precedentemente annunciato, ma solo la parte dedicata alla costituzione reale del Comitato stesso.

L’ordine del giorno dell’assemblea, quindi, è il seguente:



approvazione dello statuto del Comitato
discussione e approvazione del primo programma di attività
decisioni in merito alle cariche sociali
varie ed eventuali


Sono invitate a partecipare tutte le associazioni che hanno già espresso la loro adesione.

Entro domani sera invio a tutti coloro che hanno già manifestato l’intenzione di aderire la bozza di statuto già parzialmente illustrata e discussa.

Per sapere come raggiungere la sede del CIG potete consultare questo indirizzo web: http://www.arcigaymilano.org/asso/chisiamo.asp

venerdì 11 febbraio 2011

5 marzo 2011

5 marzo 2011, ore 9,30/16,30
Sala Bauer, Società Umanitaria,
ingresso Via Santa Barnaba 48, Milano

Sì, lo voglio!Il diritto al matrimonio civile tra persone dello stesso sesso in Italia: in attesa che il Parlamento decida, qual è il ruolo del diritto e della società
nella costruzione di questa riforma?

domenica 17 ottobre 2010

La sentenza della Corte Costituzionale apre nuove prospettive di tutela

Di Marco Gattuso (Giudice presso il Tribunale di Reggio Emilia, intervento pubblicato su "Politeia, rivista di etica e scelte pubbliche")

La sentenza della Corte Costituzionale, pur tra luci ed ombre, rappresenta una svolta storica sotto vari profili. Con la proposizione dell'eccezione di incostituzionalità si è prodotto, innanzitutto, un vero e proprio ribaltamento del dibattito in corso: non si discute più se la Costituzione italiana vieti il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali, ma se ed in che termini la Costituzione imponga tali diritti. In secondo luogo, dalla lettura della decisione si evince l'affermazione della rilevanza costituzionale delle unioni omosessuali, che già di per sé configura un passaggio cruciale per il nostro ordinamento [1]. Da oggi non avrà più senso discutere del significato dell'espressione "orientamento sessuale", come inopinatamente fatto dal nostro Parlamento solo pochi mesi orsono [2], né sarà più possibile mettere in dubbio la necessità di legiferare in materia, poiché, come evidenziato dalla Consulta, il diritto al riconoscimento delle unioni omosessuali è sancito dall'art. 2 della nostra Costituzione [3]. Inoltre, la Corte afferma che tale riconoscimento giuridico "necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia" e, dunque, dopo la sentenza non saranno più sufficienti riforme dirette alla tutela di limitati diritti dei singoli membri della coppia senza riconoscimento giuridico dell'unione omosessuale [4].

L'affermazione della natura costituzionale del diritto al libero sviluppo della persona anche nell'ambito della coppia omosessuale, inoltre, non potrà non avere un impatto nell'evoluzione della nostra giurisprudenza, ad esempio in materia di espulsione verso quei Paesi che perseguitano gli omosessuali impedendo di manifestare apertamente l'affettività tra due persone dello stesso sesso [5]. La rilevanza costituzionale della coppia omosessuale apre, inoltre, anche prima d'ogni intervento del Legislatore, nuove prospettive alla cd. via giudiziaria per i diritti delle coppie gay, ove si tenga conto d'un ulteriore passaggio: in attesa che il Parlamento adotti una disciplina organica, la Corte Costituzionale si impegna ad assicurare da subito il proprio controllo ogni qualvolta "in specifiche situazioni sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale". Poiché, come noto, un giudice può promuovere una questione di illegittimità costituzionale soltanto nel caso in cui la questione non possa essere risolta già attraverso un'interpretazione adeguatrice della norma, il giudice, innanzi ad una coppia che chieda tutela e che a suo avviso necessiti d'un trattamento omogeneo a quello d'una coppia coniugata, dovrà applicare direttamente la normativa prevista per la coppia sposata, attraverso una interpretazione analogica, evolutiva, costituzionalmente orientata della norma, e solo se tale interpretazione non sia possibile dovrà ricorrere alla Corte Costituzionale perché verifichi se la disparità di trattamento sia legittima. Bisognerà verificare, innanzitutto, se la coppia omosessuale esiste e se ha carattere di stabilità analogo ad una coppia sposata. Da questo punto di vista assumono rinnovata importanza le iscrizioni all'anagrafe delle coppie omosessuali come famiglia anagrafica e l'iscrizione nei registri delle coppie di fatto che sono stati già istituiti in molti comuni italiani. Verificato che una coppia omosessuale è convivente e stabile, il giudice non potrà negare la necessità di trattamento omogeneo tra unione omosessuale e coppia sposata sul mero rilievo che la prima non è sposata, in quanto la Corte ha affermato espressamente la necessità di verificare tale omogeneità proprio tra unione gay e coppia coniugata. Escludere dunque tale comparazione sulla base della mera mancanza del matrimonio sarebbe come negare in radice la valutazione richiesta dalla Corte Costituzionale. Sarà dunque d'estremo interesse verificare come si svilupperà la giurisprudenza italiana nel prossimo periodo e che criteri elaborerà al fine d'accertare tale "necessità di trattamento omogeneo", tanto nei casi, sempre più numerosi, di coppie omosessuali che hanno figli, che in tutte quelle situazioni in cui la presenza o meno di figli non assuma specifica rilevanza [6].

A ciò deve aggiungersi che nel prossimo periodo il percorso verso l'uguaglianza tra coppie omosessuali e coppie eterosessuali sposate sarà presidiato non solo dalla nostra Corte Costituzionale ma anche dai giudici di Lussemburgo e di Strasburgo. Il quadro europeo, infatti, è decisamente mutato negli ultimi anni, sino alla recentissima sentenza con la quale la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, affrontando anch'essa per la prima volta la questione dei matrimoni gay [7], ha riconosciuto finalmente che le coppie omosessuali sono famiglia, con un'affermazione che in Italia appare persino clamorosa [8]. La cosa non deve sorprendere, poiché in Europa la questione dei diritti delle unioni omosessuali è considerata come un tipico tema di diritti civili e di libertà di tipo tradizionale, tant'è che sul loro riconoscimento pubblico si registra ormai il consenso delle maggiori forze politiche, tanto di destra che di sinistra [9], e che la questione non è stata affrontata con legge organica soltanto in Grecia e in Turchia, oltre che in alcuni Paesi ex comunisti [10], ancora indietro nel percorso di adeguamento agli standard democratici di stampo occidentale.

Alla domanda se l'interpretazione della Costituzione italiana debba spingersi sino al punto di imporre anche l'apertura dell'istituto del matrimonio ai gay, la Corte ha risposto – per il momento – di no. Questa risposta non è una sorpresa, probabilmente era ampiamente nel conto anche per coloro che hanno proposto l'iniziativa giudiziaria.

Nel dire di no, la Corte sostiene che le diverse modalità di tutela delle unioni omosessuali sono rimesse a scelte discrezionali del Parlamento [11]. In Europa si rinvengono in effetti discipline differenti che possono ricondursi a quattro diverse opzioni [12]: 1) matrimonio tra coppie di opposto o dello stesso genere (sette Paesi [13]); 2) unioni omosessuali registrate cui si applica la disciplina del matrimonio (attualmente due Paesi [14]); 3) unioni omosessuali registrate con una normativa ad hoc (sette Paesi [15]); 4) registrazione delle coppie sia etero che gay con diritti garantiti da una normativa specifica (quattro Paesi [16]). La Corte ci ha detto che il Parlamento può scegliere tra le diverse opzioni, mentre dopo la sentenza si dovrà ritenere illegittimo non riconoscere nulla, e, come detto, non ci si potrà limitare a garantire diritti ai singoli membri della coppia senza un riconoscimento giuridico dell'unione.

La Corte ha comunque evitato ogni riferimento alla nozione di diritto naturale, come era stato invece chiesto da più parti e, anzi, ha colto l'occasione per dire che la nozione di famiglia recepita e protetta dalla Costituzione, lungi dall'essere scolpita una volta per tutte, è in continua evoluzione. La Corte, inoltre, ha evitato di evocare differenze ontologiche tra coppie omo ed eterosessuali, limitandosi ad affermare che "le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio" mettendo dunque in relazione una realtà sociale (le coppie omosessuali) con un istituto giuridico (il matrimonio) e non con le unioni eterosessuali, così da rimarcare esclusivamente il mancato accesso all'istituto del matrimonio. Non si può ritenere, in particolare, che la Corte abbia inteso indicare una differenza ontologica tra coppie omosessuali ed eterosessuali ove fa un fugace riferimento alla "finalità procreativa" del matrimonio atteso che tale argomento pare richiamato dalla Corte soltanto al fine di ricostruire l'intenzione originaria del Costituente [17]. La Corte non ha richiamato la necessità di difendere la famiglia tradizionale né ha sostenuto che l'apertura del matrimonio ai gay minaccerebbe le famiglie eterosessuali, evitando dunque ogni richiamo ai tanti argomenti utilizzati nella polemica contro i diritti degli omosessuali. La Corte si è limitata a dire che la nozione di matrimonio come unione tra un uomo ed una donna e non tra persone dello stesso sesso era data per presupposta nel 1948, quando fu scritta la Costituzione, e non può essere cambiata per via ermeneutica. Si tratta di un'argomentazione che colpisce per la sua debolezza e non può dubitarsi che farà molto discutere. Chi scrive ritiene che ad un approfondimento la stessa risulti francamente errata e che col tempo sarà superata [18]. Da questo punto di vista, la sentenza – che, vale la pena ricordarlo, è la prima sull'argomento – segna solo l'inizio d'un percorso.

Secondo alcuni, la Corte avrebbe inteso affermare che neppure il Legislatore potrebbe cambiare il codice civile aprendo il matrimonio ai gay [19]. È in corso un dibattito sul punto. Per un orientamento, la Corte si sarebbe accodata all'opinione che vede nella parola "matrimonio" un concetto immodificabile, neppure per volontà popolare. Il Parlamento, dunque, non potrebbe ridefinire l'istituto giuridico del matrimonio civile e la competenza del Legislatore dovrebbe escludersi anche per il futuro, nonostante l'evoluzione del costume e della nozione sociale di famiglia, i mutamenti nelle conoscenze scientifiche [20], la stessa evoluzione della nozione di famiglia nella lingua [21] e nel linguaggio giuridico anche nel contesto internazionale [22], i cambiamenti già avvenuti nel diritto degli altri Paesi a noi affini [23] e nello stesso diritto europeo [24]. Questa posizione sembra fondata su un solo argomento: si dovrebbe ritenere che la materia è sottratta al Legislatore perché la Corte rileva che la questione, rispetto agli artt. 3 e 29, è infondata [25]. Tuttavia, la Corte in altro passaggio dichiara che rispetto all'art. 2 ed all'art. 117 la questione è inammissibile - che nel linguaggio utilizzato dalla Corte significa che la materia è di competenza del Parlamento - e dice espressamente che la materia è riservata al Legislatore (in quanto la questione se l'art. 2 imponga il "diritto di sposarsi" anche per i gay appare "diretta ad ottenere una pronuncia additiva non costituzionalmente obbligata"). Non v'è dubbio che la Corte sia stata ambigua. In un passaggio reputa la questione inammissibile ed in un altro infondata. Sussistono nondimeno molti più elementi per sostenere che la Corte lasci libertà al Parlamento [26]. In tutta la motivazione, la Corte non introduce infatti alcun elemento espressamente diretto a condizionare la discrezionalità del Legislatore, né sarebbe conforme alla sua pregressa giurisprudenza in materia familiare coartare, in un senso o nell'altro, la volontà parlamentare – a maggior ragione in forza di una lettura meramente "originalista" della Costituzione. Dalla lettura della sentenza non emerge alcun argomento per sostenere che l'apertura del matrimonio violi diritti od interessi di terzi e della famiglia eterosessuale e che dunque si contrapponga alla ratio di garanzia dell'art. 29. L'ancoraggio proposto dalla Corte all'intenzione soggettiva dei costituenti pare strettamente connesso alla necessità di prevenire interpretazioni "creative", d'evitare cioè fughe in avanti giurisprudenziali, di salvaguardare il principio di tripartizione dei poteri, come potrebbe già desumersi dall'indicazione per cui "questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica". Alla Corte, peraltro, è stato chiesto se l'art. 29 imponga il riconoscimento del matrimonio tra omosessuali, mentre non è stato chiesto se l'art. 29 possa consentire tale apertura. Sarebbe allora certamente paradossale che al disconoscimento della Corte di interpretazioni "creative" del giudice consegua una limitazione per lo stesso potere legislativo, imposta... proprio per via giudiziaria! Si deve sottolineare, inoltre, come la lettura della nostra Costituzione nel senso di un divieto del Legislatore sarebbe del tutto peculiare nel panorama europeo ove "nessun parlamento nazionale al fine di ampliare il contenuto di tale istituto, ha ritenuto di dovere modificare la costituzione" [27]. Bisognerà considerare, ancora, che la Corte Costituzionale non ha fondato la sua decisione sull'espressione "società naturale", che non tiene in alcun conto, ma sul solo termine "matrimonio" che nella nostra Carta non contiene alcun riferimento all'uomo ed alla donna, a differenza della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (che recita "a partire dall'età minima per contrarre matrimonio, l'uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi", cfr. art. 12) la cui formulazione non ha tuttavia impedito alla Corte di Strasburgo di ritenere di recente che tale norma indichi i soggetti titolari del diritto a contrarre matrimonio (il diritto, cioè, deve essere riconosciuto a ogni uomo e a ogni donna), senza limitare necessariamente la facoltà di scegliere liberamente il partner [28]. Va detto, infine, che i giudici della Corte di Strasburgo nella loro motivazione evidenziano di non potere imporre ai Paesi aderenti l'apertura del matrimonio alle coppie dello stesso sesso poiché sul punto manca allo stato una "base comune nelle legislazioni dei Paesi aderenti" così che si deve intendere che tale evenienza non potrebbe escludersi per il futuro. Ne consegue che un'interpretazione forzata della nostra Costituzione, probabilmente contro l'intenzione degli stessi interpreti che oggi la propugnano, la esporrebbe in futuro ad un, azzardato quanto immotivato, conflitto con gli stessi Bill of rights europei.

Note

[1] Si deve riconoscere che si tratta di un evidente successo dei promotori, in particolare della campagna di promozione civile ideata dall'avvocato e ricercatore di diritto privato nell'Università degli studi di Udine, Francesco Bilotta, e portata avanti dal medesimo con grande determinazione insieme all'associazione di avvocati Rete Lenford e all'associazione radicale Certi Diritti. Per un quadro generale del dibattito giuridico antecedente la sentenza in commento cfr. i fondamentali: Amore civile, dal diritto della tradizione al diritto della ragione, a cura di B. De Filippis e F. Bilotta, Milano Udine 2010 ; Le unioni tra persone dello stesso sesso - Profili di diritto civile, comunitario e comparato a cura di F. Bilotta Milano-Udine, 2008; M. Bonini Baraldi, Le nuove convivenze tra disciplina straniera e diritto interno, Milano 2005; M. Bonini Baraldi, La famiglia de-genere Matrimonio omosessualità e costituzione, Milano-Udine 2010; La "società naturale" ed i suoi "nemici". Sul paradigma eterosessuale del matrimonio, Torino 2010, Atti del convegno svoltosi a Ferrara proprio nell'imminenza della decisione, ove si rinvengono numerosissimi interventi di grande interesse; M. Montalti Orientamento sessuale e costituzione decostruita. Storia comparata di un diritto fondamentale, Bologna 2007; P. M. Callaro Il same-sex marriage negli Stati Uniti d'America, Padova 2006.

[2] Cfr. la questione di pregiudizialità costituzionale votata dalla Camera il 13 ottobre 2009 avverso la normativa contro l'omofobia ove si sostiene che l'orientamento sessuale "ricomprende qualunque orientamento, ivi compreso incesto, pedofilia, zoofilia, sadismo, necrofilia, masochismo eccetera", incredibilmente ignorando la nozione giuridica di orientamento sessuale già recepita dall'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali ed universalmente intesa come orientamento verso persone dell'opposto o del proprio genere.

[3] La Corte Costituzionale afferma che in forza della nostra Costituzione a tale comunità "spetta riconoscimento giuridico" e dunque individua una lacuna nella nostra legislazione chiamando il Parlamento a colmarla, seppure "nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge". Il riferimento ai "tempi" non consente di ritenere che anche l'an della tutela sia nella sua disponibilità, così come la discrezionalità è definita "piena" solo al fine di specificare il quomodo ("le forme di garanzia e di riconoscimento").

[4] In questo senso si muovevano, invece, i vari progetti di legge succedutisi negli ultimi anni (cd. DICO, DIDORE, CUS ecc...).

[5] La S.C. aveva ritenuto che non vi sarebbe pericolo di trattamento persecutorio – e dunque si potrebbe procedere all'espulsione non sussistendo il divieto di cui all'art. 19 della Bossi-Fini ("In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali") - se nella legislazione di quel Paese venga previsto come reato non "il fatto in sé" dell'omosessualità ma soltanto "l'ostentazione di tali pratiche in modo non conforme al sentimento pubblico del Paese stesso" (Corte di Cassazione Sez. 1, Sentenza n. 16417 del 25/07/2007). Come dire che in Italia lo straniero è protetto solo se nel suo Paese d'origine è vietato appartenere ad una minoranza etnica o essere ebreo o avere determinate opinioni politiche, ma non se nel suo Paese è perseguito penalmente praticare apertamente la religione ebraica o manifestare ("ostentare"?) il proprio pensiero... La rilevanza costituzionale della relazione di coppia omosessuale, d'un fenomeno dunque che necessariamente non rileva nella sola sfera interiore della persona ma ha rilevanza esterna, comporta senza dubbio garanzia di tutela, costituzionalmente imposta, anche per le manifestazioni esteriori dell'affettività omosessuale.

[6] Subentro nella locazione, gestione della crisi della coppia, ruolo del convivente nell'assistenza sanitaria e nelle decisioni post mortem, risarcimento dei danni in caso di morte... ma l'elenco è infinito e l'indagine potrà interessare tutti gli istituti ad oggi riservati alle coppie sposate.

[7] Schalk and Kopf v. Austria, 24 Giugno 2010. La CEDU ha dichiarato che il codice civile austriaco, nella parte in cui non prevede il matrimonio tra persone dello stesso sesso, non viola la Convenzione agli artt. 8, 12 e 14 in quanto la materia è di competenza dei Parlamenti nazionali.

[8] Basti pensare che solo pochi anni fa, nel 2007, il governo italiano (di centro sinistra!) negò alle organizzazioni omosessuali di partecipare alla Conferenza nazionale sulla famiglia sostenendo che le relazioni gay non sono famiglia.

[9] Dall'esame delle posizioni ufficiali dei partiti politici degli altri quattro maggiori Paesi europei (Francia, Germania, Regno Unito e Spagna), si rileva che tutte le forze politiche parlamentari tanto di destra che di sinistra, ad eccezione del solo Front National francese, sono favorevoli al riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali oggi sollecitato dalla nostra Corte.

[10] Ma non tutti: hanno una legge, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovenia e Croazia.

[11] La Corte ha ritenuto la questione "inammissibile" in quanto "diretta ad ottenere una pronuncia additiva non costituzionalmente obbligata". L'eventuale apertura del matrimonio implica difatti scelte rimesse alla discrezionalità del legislatore, non soltanto perché le unioni omosessuali potrebbero essere tutelate con altri istituti affini al matrimonio, ma anche perché, pure nell'ipotesi di apertura del matrimonio, ben potrebbe essere esclusa l'operatività di alcune norme, come già accaduto in altri ordinamenti ad esempio in materia di filiazione, presunzione di paternità, adozione.

[12] Molti Paesi prevedono più istituti, contemplando normative sulle partnership registrate insieme al matrimonio ed alla tutela delle convivenze di fatto. Una dettagliatissima ricognizione in M. Bonini Baraldi, Le nuove convivenze cit..

[13] Spagna, Portogallo, Belgio, Olanda, Islanda, Norvegia e Svezia. In Lussemburgo, Andorra, Finlandia e Slovenia la legge è stata annunciata dal governo o è in corso d'approvazione in Parlamento.

[14] Danimarca e Finlandia, le cui normative prevedono soltanto alcune eccezioni in materia di adozioni e potestà genitoriale. Gli altri Paesi che aderivano a tale opzione sono passati negli ultimi anni al matrimonio.

[15] Regno Unito, Germania, Svizzera, Slovenia, Rep. Ceca, Austria, Ungheria.

[16] Francia, Lussemburgo, Andorra, Irlanda. In Croazia sono riconosciuti diritti alle coppie di fatto omosessuali.

[17] Conviene che con l'accenno alla "finalità procreativa" la Corte abbia inteso "semplicemente ricostruire, ancora, la volontà del costituenti", Dal Canto La Corte costituzionale e il matrimonio omosessuale, in Foro it. 2010, I, 1373. Si deve considerare, in effetti, come la connessione tra matrimonio e procreazione, che pure è stata al centro del dibattito dottrinale e delle stesse argomentazioni dei giudici a quibus, non sia stata sviluppata in alcun modo dalla Corte e apparirebbe argomento assai fragile se fosse riferito alla realtà sociale contemporanea ed all'attuale quadro normativo.

[18] Sul punto mi si consenta di rimandare a M. Gattuso, La Corte costituzionale sul matrimonio tra persone dello stesso sesso in Famiglia e diritto, 2010, 656. Sulle ragioni che dovrebbero indurre a ritenere costituzionalmente illegittimo il divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso, cfr. anche Costituzione e matrimoni fra omosessuali, in Il Mulino 2007, 452; Appunti su famiglia naturale e principio di uguaglianza (A proposito della questione omosessuale) in Questione Giustizia 2007, 261 (consultabile anche in www.personaedanno.it) e Il dialogo tra le corti in La società naturale ed i suoi nemici, Torino 2010, p. 159 (consultabile anche in www.forumcostituzionale.it).

[19] Si avrebbe anche in Italia un esito analogo a quei quindici Paesi ove le Costituzioni definiscono il matrimonio come unione tra uomo e donna impedendo ai Parlamenti nazionali una ridefinizione del matrimonio con legge ordinaria (Congo, Kenya, Ruanda, Uganda, Honduras, Bielorussia, Ecuador, Lettonia, Lituania, Polonia, Bielorussia, Moldavia, Montenegro, Serbia e Ucraina; fonte: Wikipedia, LGBT rights by country or territor).

[20] L'omosessualità è stata cancellata dal DSM (Diagnostic and statistical manual of mental disorders) ed è stata definita una "variante del comportamento umano" nel 1973.

[21] Tanto il Webster's che l'Oxford English Dictionary richiamano l'unione tra due persone dello stesso sesso sotto la voce "matrimonio".

[22] Si è già detto del diffondersi del consenso anche tra le maggiori forze politiche continentali. La nozione gender-neutral di matrimonio è sostenuta da più sentenze delle Corti supreme di diversi Stati americani (Massachusetts, California, Connecticut, Iowa) oltre che dalle corti costituzionali del Sudafrica, Canada, Belgio e Portogallo. Di recente i giudici americani (Corte distrettuale del Massachusetts, 8 luglio 2010, che dichiara l'illegittimità del Defense of Marriage Act e Corte distrettuale del Nord California Perry v. Schwarzenegger del 4 agosto 2010 che dichiara l'illegittimità della Proposition 8) sono arrivati ad aprire un vero e proprio conflitto, dagli esiti assai incerti, con il potere legislativo (persino quando esercitato mediante referendum popolare!) che aveva definito espressamente il matrimonio quale unione tra uomo e donna.

[23] Il matrimonio è stato ridefinito in senso inclusivo in Argentina, Belgio, Canada, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Sudafrica, Spagna, Svezia ed inoltre in Connecticut, Iowa, Massachusetts, New Hampshire, Vermont, Washington (District of Columbia) e Città del Messico.

[24] Con l'art. 9 della Carta dei diritti fondamentali il legislatore europeo ha compiuto una scelta storica avendo utilizzato i termini "sposarsi" e "famiglia" senza alcuna specificazione proprio al fine di non escludere il matrimonio per le coppie omosessuali. Anche la Corte europea di Strasburgo, per canto suo, ha modificato la propria interpretazione della nozione di matrimonio annunciando che "la Corte non considererà più che il diritto di sposarsi sancito dall'art. 12 debba essere limitato in ogni circostanza al matrimonio tra persone di sesso opposto" (Schalk and Kopf v. Austria, cit.).

[25] Dal Canto La Corte costituzionale e il matrimonio omosessuale, in Foro it. 2010, I, 1373. L. D'Angelo, La Consulta al Legislatore: questo matrimonio nun s'ha da fare, Altalex, 19 aprile 2010; G. M. Salerno, Il vincolo matrimoniale non è suscettibile di interpretazioni creative, in Guida al diritto, Famiglia e minori, maggio 2010, 46; S. Spinelli, Il matrimonio non è un'opinione Forum di Quaderni Costituzionali, 2010, www.forumcostituzionale.it; P. A. Capotosti Matrimonio tra persone dello stesso sesso: infondatezza versus inammissibilità nella sentenza n. 138 del 2010 in Quaderni costituzionali 2010, 361.

[26] L'approdo d'una Costituzione che non vieta e non impone appare conforme all'orientamento che, in un'ottica comunque storicistica, ravvisa nell'art. 29 una norma in bianco che rimanda alla definizione normativa di matrimonio, qual è indicata, attualmente, nel codice civile, su cui cfr. Pignatelli, Dubbi di legittimità costituzionale sul matrimonio, 3, Forum di Quaderni Costituzionali, 2010, in www.forumcostituzionale.it 14; v. anche A. Schuster Riflessioni comparatistiche sull'art. 29 della Costituzione italiana in Le unioni tra persone dello stesso sesso cit., 185.

[27] L'osservazione è di N. Pignatelli, Nozione di matrimonio e disciplina delle coppie omosessuali in Europa, in Foro it., 2005, V, 260 ss.

[28] Schalk and Kopf v. Austria, cit. . Anche la formulazione dell'art. 32 della Costituzione spagnola, che contiene un riferimento diretto all'uomo ed alla donna (art. 32: "el hombre y la mujer tienen derecho a contraer matrimonio con plena igualdad jurídica"), non ha impedito al Legislatore un'interpretazione evolutiva.

giovedì 5 agosto 2010

Welcome To The Hotel California

Comunicato stampa
Giovedì 05 Agosto 2010

MATRIMONIO GAY. CALIFORNIA, DIVIETO E' INCOSTITUZIONALE:
INCAPACITA' DELLA POLITICA OBBLIGA INTERVENTO MAGISTRATURA.

Commento alla sentenza del tribunale californiano
che ha stabilito incostituzionalità del divieto alle nozze gay.

Il giudice federale della California Vaughn R. Walker con la sentenza pronunciata ieri s'è espresso contro il divieto ai matrimoni gay, sancito tramite il referendum noto come "Proposition 8". Il referendum era stato promosso da una coalizione di confessioni religiose.

Secondo il giudice Walker, impedire agli omosessuali di sposarsi è discriminatorio. La Proposition 8, si legge nel pronunciamento, è "incostituzionale" e non fornisce al divieto "alcuna base razionale", ma si limita ad affermare perentoriamente che "le coppie eterosessuali sono superiori alle coppie omosessuali". "La sola disapprovazione morale è una base impropria per negare diritti a omosessuali e lesbiche", continua il giudice, che aggiunge: "è evidente che le concezioni morali e religiose sono l'unica base per credere che le coppie dello stesso sesso siano diverse da quelle eterosessuali". Come dire: uno stato di diritto non può farle proprie.

Walker, rilevando che l’opposizione ai matrimoni gay ha una forte motivazione religiosa, afferma di contro che "l'interesse di uno Stato nel momento in cui mette in atto una norma deve essere per sua stessa natura laico" e che "lo Stato non ha interesse nel rafforzare le credenze morali o religiose senza che ciò sia accompagnato da un proposito laico". Vietare i matrimoni gay è dunque "un artefatto di un tempo in cui i generi erano considerati come caratterizzati da diversi ruoli nella società e nel matrimonio", un tempo "che è passato", sottolinea Walker.

Ancora una volta - così come in Italia con la recente sentenza 138/2010 - l'incapacità della politica di legiferare laicamente a favore dell'uguaglianza di tutti i cittadini e le cittadine di fronte alla legge, sancita dalla nostra Costituzione, ha obbligato la magistratura a intervenire.

Il successo del movimento lgbt californiano è una notizia che scalda i cuori di speranza e le mani di voglia di fare, perché la battaglia per la parità dei diritti riparte con slancio lì dov'era iniziata. E' proprio il caso di esclamare il celebre verso della canzone degli Eagles: “Welcome To The Hotel California”.

lunedì 2 agosto 2010

LA RIVISTA "FAMIGLIA E DIRITTO" SUL MATRIMONIO GAY

MATRIMONIO GAY. PUBBLICATO COMMENTO
ALLA SENTENZA DELLA CONSULTA:
NON È NECESSARIA REVISIONE COSTITUZIONALE


La più prestigiosa rivista italiana del settore, “Famiglia e diritto”,
pubblica nel numero corrente 07/2010 un commento alla sentenza 138/2010



Il commento della rivista “Famiglia e diritto”, la più prestigiosa edizione italiana del settore, a firma di Marco Gattuso, magistrato, fa il punto della situazione sulla questione dell’accesso al matrimonio civile per le persone omosessuali, dopo la sentenza della Corte Costituzionale.

I passaggi fondamentali del commento rappresentano altrettanti punti fondamentali per la lotta all’uguaglianza.

Così leggiamo che “la Corte compie un deciso passo in avanti, individuando nella “unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso”, una “formazione sociale” tutelata dall’art. 2 Cost.. Si configura dunque il diritto fondamentale al libero sviluppo della persona anche nell’ambito della coppia omosessuale”. La Corte infatti “annette una specifica rilevanza costituzionale alla stessa nozione giuridica di orientamento sessuale, universalmente intesa come orientamento verso persone dell’opposto o del proprio genere e con tale accezione già recepita dall’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali”.

La Corte declina il contenuto di tale diritto fondamentale rilevando che “a tale unione non spetta soltanto il diritto “di vivere liberamente una condizione di coppia” ma altresì “il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”. Si ha qui un passaggio di portata storica, che segna il superamento d’ogni concezione volta a consumare la vocazione liberale del sistema giuridico italiano nel mero rispetto della vita privata”.

Affermando che “in forza della Costituzione a tale comunità “spetta un riconoscimento giuridico” che “necessariamente” richiede una disciplina, la Consulta individua difatti una lacuna nella nostra legislazione e chiama il legislatore a colmarla”. “L’eventuale apertura del matrimonio implica scelte rimesse alla discrezionalità del legislatore”, che dunque ha piene possibilità d’azione.

“In tutta la motivazione, la Corte non introduce alcun elemento espressamente diretto a condizionare la discrezionalità del Legislatore, né sarebbe conforme alla sua pregressa giurisprudenza in materia familiare coartare, in un senso o nell’altro, la volontà parlamentare”.

“Dalla lettura della sentenza non emerge peraltro alcun argomento per sostenere che l’apertura del matrimonio violi diritti od interessi di terzi e della famiglia eterosessuale e che dunque si contrapponga alla ratio di garanzia della norma. Ne consegue che se al Legislatore ordinario è preclusa dall’art. 29 Cost. una normativa che limiti i diritti della famiglia, non deve ritenersi preclusa, invece, la ridefinizione per via legislativa della nozione di “matrimonio” in senso non limitativo ma, anzi, inclusivo”.

La Corte afferma altresì che “resta “riservata alla Corte Costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni” ove “sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza”. L’affermazione della sussistenza d’un diritto fondamentale conduce dunque ad assicurare tutela giuridica ogni qualvolta sia riscontrabile la necessità d’una eguale protezione”.

Quest’ultima affermazione della Corte “è di particolare impatto, posto che alla luce di tale indicazione, si dovrà ritenere che ogni giudice sia chiamato ad accertare di volta in volta se nella situazione data “sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo”, verificando preventivamente se il dispositivo favorevole alla coppia coniugata possa essere applicato anche alla coppia omosessuale”.

La sentenza della Corte, quindi, spalanca le porte alle via giudiziaria per l’ottenimento della piena uguaglianza, fatto, questo, tanto più importante quanto permane immobile il panorama politico italiano.

“È inoltre significativo che la Corte preannunci l’intenzione di porre a confronto la coppia omosessuale e la coppia “coniugata”. La notazione pare di particolare importanza, poiché sarebbe allora una mera petizione di principio negare un diritto riconosciuto alla coppia coniugale sul solo rilievo della mancanza del vincolo matrimoniale, venendosi a negare in radice proprio quella verifica in concreto postulata dalla Corte”.

“Appare a tale proposito d’un certo interesse che dalla lettura della sentenza, fatto salvo il mancato accesso all’istituto del matrimonio, la Corte non enunci alcuna disomogeneità ontologica tra affettività etero ed omosessuale”.


COMITATO "SÌ, LO VOGLIO!"
per il riconoscimento del diritto
al matrimonio civile alle persone omosessuali

Comunicato stampa
Giovedì 30 Luglio 2010

martedì 20 luglio 2010

Dopo la sentenza della Corte costituzionale il silenzio della politica

Commento dell'avv. prof. Marilisa D’Amico
Ordinario di Diritto costituzionale, Università Statale di Milano


La sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale italiana costituisce un passo determinante, anche se non definitivo, in tema di riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali e, anche, del fondamentale “diritto al matrimonio”.

Di questa decisione sta circolando una lettura riduttiva che sosterrebbe, a mio avviso sbagliando, che secondo la Corte il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso potrebbe essere raggiunto soltanto con la revisione dell’art. 29 Cost. il quale non si presterebbe ad una lettura “evolutiva”.

Questa interpretazione della sentenza n. 138 del 2010 non è accettabile, per tre ordini di motivi:

1. nell’impianto della decisione la lettura degli artt. 3 e 29 Cost., basata sull’assunto che l’originaria previsione dell’art. 29 Cost., pur conoscendo il fenomeno dell’omosessualità, ha inteso disciplinare soltanto il matrimonio fra persone eterosessuali, costituisce un punto molto debole del ragionamento. Sembra simile a quello che la Corte statuì, nella sentenza n. 421 del 1995, bocciando le cosiddette quote rosa; su quel principio sbagliato, la Corte è ritornata nella sentenza n. 49 del 2003, che costituisce una vera overruling. Similmente, nulla impedirebbe alla Corte, in futuro, di riconoscere la debolezza della sua interpretazione soltanto “storica” dell’art. 29 Cost. Con questo metro, allora, si sarebbe potuta dichiarare costituzionalmente illegittima anche la previsione del divorzio.

2. La stessa Corte costituzionale, basandosi sull’art. 2 Cost., e sull’art. 117 Cost. (reso più forte dalla recente sentenza della Corte costituzionale austriaca), ha riconosciuto non solo il valore costituzionale della “coppia omosessuale”, ma ha definito come necessario l’intervento del legislatore per una disciplina organica e si è riservata il diritto ad intervenire a correzione di tutte le specifiche violazioni di specifici diritti. Questa decisione costituisce un monito al legislatore molto forte: non si parla di facoltà, ma di necessità di intervento.

3. Il segnale, da parte della Corte, è chiarissimo: di fronte al vuoto normativo, che pone l’Italia in una situazione del tutto unica rispetto agli altri Paesi europei (Portogallo, Austria, … ma per uscire dall’Europa, anche Argentina), la Corte opportunamente rinvia al ruolo del legislatore e, dunque, della politica nel dotarsi di una disciplina organica. Sarà comunque il legislatore, nella sua discrezionalità, a decidere in ordine ad una piena equiparazione, anche nel nome “matrimonio” delle unioni omosessuali rispetto a quelle eterosessuali.

Il terreno, però, è oggetto di profonda evoluzione, come testimonia anche la recentissima decisione della Corte Europea (Schalk e Kopf v. Austria, del 24 giugno 2010). La Corte non si limita a rinviare genericamente alla politica, ma si ritaglia uno spazio di intervento dinnanzi a situazioni specifiche: questo rende il monito, a mio avviso, ancora più cogente.

In conclusione, chi cerca ancor oggi, anche in buona fede, letture ulteriori e diverse della sentenza, non fa altro che perdere tempo prezioso e ignora l’indicazione chiara e inequivocabile del giudice costituzionale: la necessità, non più procrastinabile, di una legge.

La “via giudiziaria”, nel riconoscimento e nella tutela dei diritti, non può e non deve sostituirsi alla “via politica”, ma soltanto offrire sostegno e aiuto quando quest’ultima si dimostri lenta, insufficiente o inadeguata, come sempre più spesso in Italia succede.

***

giovedì 15 luglio 2010

ARRIBA ARGENTINA!

ARGENTINA, IL MATRIMONIO GAY E’ LEGGE.
ISTITUZIONI HANNO DELIBERATO LAICAMENTE,
NONOSTANTE LE INAUDITE PRESSIONI CLERICALI.

Enzo Cucco,Giuseppina La Delfa e Maurizio Cecconi, portavoci del Comitato,
in merito alla legge approvata questa notte dal Senato della Repubblica di Argentina.


“L’Argentina, paese dove il 91% della popolazione si dichiara cattolico, s’è convertito all’alba di oggi nel primo stato del Sudamerica – il decimo nel mondo – che riconosce alle persone omosessuali il diritto al matrimonio civile e, contestualmente, alle adozioni. Il dibattito finale al Senato della Repubblica, durato oltre 15 ore, è stato trasmesso interamente dalla televisione, rappresentando un modello di discussione democratica e di decisione laica. Infatti, nonostante le inaudite pressioni delle gerarchie della Chiesa Cattolica, arrivate persino ad organizzare manifestazioni di piazza che hanno creato tensione ed incidenti, le massime Istituzioni argentine hanno deliberato tenendo presente il principio comune di uguaglianza di fronte alla legge”, così Enzo Cucco, portavoce del Comitato “Sì, lo voglio!”.

Per Giuseppina La Delfa, portavoce del Comitato “Sì, lo voglio!”, “la decisione dell’Argentina rappresenta un passo in avanti storico. Come ha ricordato María Rachid, rappresentante della Federazione Argentina di Lesbiche, Gay, Bisessuali e Trans (FALGBT), l’acceso al matrimonio implica anche il riconoscimento di tutti quei diritti che al matrimonio sono legati. In particolare, quello alle adozioni. L’uguaglianza di fronte alla legge è la premessa indispensabile per raggiungere l’uguaglianza sociale”.

“Un giorno dopo l’anniversario della Rivoluzione Francese, che segnò la fine del potere dell’aristocrazia e del clero, l’Argentina ci regalo una conquista di civiltà, ottenuta con uno sforzo esemplare, grazie all’impegno del movimento LGBT argentino e alle posizioni laiche della maggioranza delle forze politiche”, così Maurizio Cecconi, portavoce del Comitato “Sì, lo voglio!”, che conclude: “Mentre in Argentina si apre ai matrimoni gay, in Italia siamo fermi alle esternazioni fascio-clericali di Giovanardi e del Governo Berlusconi. E’ tempo, anche per il nostro paese, di una nuova stagione di libertà e di profondo e radicale cambiamento”.


COMITATO "SÌ, LO VOGLIO!"
per il riconoscimento del diritto
al matrimonio civile alle persone omosessuali

Comunicato stampa
Giovedì 15 Luglio 2010